Aree vincolate e diniego di autorizzazione paesaggistica: cosa dice la giurisprudenza

In una recente sentenza il Tar Sicilia si è soffermato sulle caratteristiche necessarie affinchè il provvedimento di diniego di autorizzazione paesaggistica adottato dalla Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali possa dirsi legittimo.

Ripercorriamo gli argomenti sottesi alla decisione dei giudici amministrativi.

Innanzitutto si è ribaditala discrezionalità valutativa affidata alla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali, essendo costante la giurisprudenza nel ritenere che: “i rilasci di nulla-osta soprintendentizi su progetti – o anche su istanze di accertamento di compatibilità paesaggistica – che riguardano aree soggette a vincolo, appunto, paesaggistico, o storico-artistico, o archeologico, scaturiscono da giudizi che costituiscono espressione di discrezionalità tecnica suscettibile, come tale, di sindacato in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero conclamato errore di fatto” (CGARS 1099/2012).

 Tuttavia tale discrezionalità deve essere esercitata in maniera legittima ossia con la giusta motivazione.

Infatti, la giurisprudenza è solita affermare che “Nella motivazione del diniego di autorizzazione paesaggistica, l’Amministrazione non può limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, ma deve specificare le ragioni del diniego ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo. Non è sufficiente, quindi, la motivazione del diniego all’istanza di autorizzazione fondata su una generica incompatibilità, non potendo l’Amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate” (Cons. Stato, VI, 5108/2016; T.A.R. Catania, sez. IV, 30 luglio 2018, n.1635).

 In altre parole la motivazione sarebbe  insufficiente tutte quelle volte in cui il diniego in materia paesaggistica discenda unicamente  dalle caratteristiche dimensionali delle opere realizzate senza spiegare le ragioni dell’incompatibilità paesaggistica, avendo anche riguardo all’ambiente circostante.

Sul punto la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che “nello specifico settore delle autorizzazioni paesaggistiche, la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde a un modello che contempli, in modo dettagliato, la descrizione: I) dell’edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati; II) del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante l’indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni; III) del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l’indicazione dell’impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio”.

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