Pubblichiamo la sintesi di un paragrafo del volume “il Codice delle Concessioni Demaniali Marittime” di prossima pubblicazione
Ancora oggi il turismo “del mare” rappresenta una delle più importanti voci di tutto il sistema economico del turismo europeo. L’Italia, da questo punto di vista, rappresenta una considerevole attrattiva ed un mercato importante, se si considera che, secondo il Ministero delle Infrastrutture, sono più di 50.000 le concessioni demaniali marittime affidate a privati.
Il diritto unionale, a differenza di quello italiano, non detta una specifica disciplina del bene demaniale in genere e del bene demaniale marittimo in particolare, come non manca di indicare anche la dottrina non italiana. Più agevole, a livello eurounitario, è la ricostruzione del concetto di “bene pubblico” (anche perché quello di “bene demaniale” è più che altro una caratteristica dell’ordinamento nazionale, non di quello europeo).
La disciplina che le fonti eurounitarie dettano con riguardo ai beni pubblici è quella dei Trattati fondamentali, ovviamente, ma anche della nota “direttiva Bolkestein” o “direttiva servizi” (direttiva 2006/123/CE), che fu recepita dall’art. 16, comma 4, del d.lgs 26 marzo 2010, n. 59.
Il “servizio” è, a sua volta, primariamente disciplinato dagli artt. 57 (a livello definitorio) e 56 (libertà di prestazione dei servizi) del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE). Quanto alla direttiva, questa ha lo scopo di superare le differenze che i vari ordinamenti nazionali hanno progressivamente accentuato tra di loro; ciò, evidentemente, in funzione del libero accesso al mercato da parte di ogni operatore dell’Unione. Insomma, la direttiva Bolkestein ha cercato di integrare i vari mercati nazionali, in specie quanto ai diversi regimi di “autorizzazione”. La funzione principale della direttiva è la riduzione progressiva dei regimi di autorizzazione preventiva all’accesso al mercato, perché, nella normalità dei casi, tali regimi autorizzatori limitano o comunque ostacolano la libera circolazione dei servizi. Nondimeno, se uno SM decide comunque di mantenere un regime autorizzatorio, comunque non può stabilire misure il cui effetto ultimo sia che il prestatore del servizio sia discriminato in ragione della sua “territorialità” di origine. Inoltre solamente quando l’obiettivo non può essere realizzato tramite una misura meno restrittiva è consentito ricorrere alla instaurazione di un regime autorizzatorio, scelta, questa, unicamente giustificata dall’esistenza di un interesse pubblico effettivo. Ancora, le procedure di rilascio dell’autorizzazione devono essere uguali per tutto il territorio di uno SM. Solo motivi imperativi di interesse generale (ordine pubblico, pubblica sicurezza, necessità di tutelare la salute pubblica o l’ambiente) sono gli unici invocabili per imporre dei limitazioni alla libera circolazione dei servizi.
Venendo al punto di maggior contrasto tra la direttiva ed il sistema ordinamentale italiano in materia di concessioni demaniali a fini turistico-ricreativi, va segnalato che l’art. 12 della direttiva prevede che, se l’accesso al “servizio” è sottoposto ad un qualche provvedimento di “autorizzazione” in ragione della “scarsità” delle risorse disponibili, il rilascio della “autorizzazione” non può essere a tempo indeterminato e non si possono prevedere meccanismi di rinnovo automatico.
Ecco, dunque, che già all’indomani del recepimento della direttiva servizi, fu chiaro, in Italia, che il regime giuridico fino a quel momento impresso alle concessioni demaniali marittime a fini turistico-ricreativi proprio non poteva considerarsi compatibile con le disposizioni dei Trattati (e della direttiva, ovviamente). Mancava una effettiva libertà di accesso al mercato, mancava la specifica considerazione della procedura di evidenza pubblica come elemento fondante la scelta del concessionario, mancava la certezza della scadenza della concessione (e, di riflesso, la certezza del momento a partire dal quale il bene demaniale sarebbe stato nuovamente accessibile).
Nondimeno, tutto quanto è evincibile dalla direttiva servizi rappresenta una declinazione del relativo principio di libertà, ma non è minimamente inteso a scalfire il concetto fondamentale di “bene demaniale”. D’altronde, l’art. 345 TFUE è di per sé impeditivo di un simile effetto: i Trattati e le fonti di diritto unioinale non sono finalizzate a dettare un nuovo regime del diritto di proprietà. Tantomeno essi sono finalizzati a disciplinare il regime giuridico della proprietà “pubblica”. Le disposizioni fondamentali dei Trattati e delle fonti sono unicamente finalizzate a disciplinare gli usi e la circolazione dei beni pubblici; insomma, l’accesso al bene-mercato. La proprietà pubblica (ed il conseguente regime “differenziato” rispetto a quella ordinaria) rappresenta un elemento giuridico non contrario al diritto unionale, finanto che essa risponde ai principi dell’ordinamento UE e garantisce la piena attuazione delle libertà fondamentali.
In estrema sintesi, la considerazione del “bene pubblico” da parte del Legislatore eurounitario ha una forte connotazione “dinamica”: viene disciplinato l’uso economico (in specie, l’affidamento a terzi e la concorrenza nell’affidamento) del ben pubblico, non tanto il suo regime giuridico in quanto bene. Fondamentalmente, dunque, nel sistema eurounitario il bene pubblico è oggetto di considerazione nella misura in cui questo è utilizzato nell’ambito di un “servizio”, inteso in senso lato.
Deriva, da quanto sopra, che la proprietà “pubblica” (così come la proprietà-diritto in generale) rappresenta un dato di fatto per il Legislatore eurounitario, non un elemento da disciplinare, sempre che sia comunque garantita ogni finalità dei Trattati e delle disposizioni da questi discendenti.
Avv. Filippo Maria Salvo