SCOMPUTO DEL COSTO DI COSTRUZIONE: IL PARERE DELLA CORTE DEI CONTI

LA SEZIONE ABRUZZO, CON PARERE 130/2020/PAR DEL 12 GIUGNO 2020, IN RISPOSTA AL QUESITO DEL COMUNE DI LANCIANO, SI È PRONUNCIATA NEGATIVAMENTE SULLA POSSIBILITÀ DI SCOMPUTARE IL COSTO DI COSTRUZIONE.

Come è noto, in base all’art. 16 del Testo unico dell’edilizia (d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380), la realizzazione di determinati interventi urbanisticamente rilevanti è assoggettata al pagamento di due tipi di poste economiche:

  • gli oneri di urbanizzazione (“la quota di oneri concessori commisurati all’incidenza degli oneri di urbanizzazione ha natura di corrispettivo di diritto pubblico, perché, realizzando la nuova opera, il privato partecipa alle utilità derivanti dalla presenza di opere di urbanizzazione”.
  • il contributo commisurato al costo di costruzione, una prestazione collegata alla produzione di ricchezza che è generata dallo sfruttamento del territorio, la cui natura tributaria è stata parzialmente adombrata dall’Adunanza Plenaria con la sentenza 30 agosto 2018, n. 12 (che, però, ha ad oggetto la rideterminazione del contributo).

Attualmente, in ogni caso, la giurisprudenza afferma che il “contributo” di cui all’art. 16 del d.p.r. n. 380 del 2001, “ivi inclusa la parte commisurata al costo di costruzione, ha natura di corrispettivo di diritto pubblico e configura una prestazione patrimoniale imposta (cfr. la richiamata sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 12 del 30 agosto 2018)” (così Cons. Stato, IV, 31 dicembre 2019, n. 10567).

LA VICENDA DEL COMUNE DI LANCIANO

In un simile scenario, il Comune di Lanciano ha interpellato la Corte dei conti, sez. Consultiva per l’Abruzzo, sul seguente quesito:

“Se sia possibile scomputare, oltre agli oneri di urbanizzazione, anche il costo di costruzione che il privato dovrà versare al fine di contribuire alla realizzazione delle opere di urbanizzazione”.

In merito, la Corte dei conti ha osservato che nel T.u. edilizia si prevede la possibilità di scomputo per gli oneri di urbanizzazione, ammettendosi la sostituzione della prestazione pecuniaria con la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria (art. 4, l. n. 847 del 1964) o secondaria (art. 44, l. n. 865 del 1971).

Nulla, invece, si dispone per il costo di costruzione, di cui all’art. 16, primo comma.

Dunque, per la Corte dei conti non è possibile scomputare anche il costo di costruzione, in considerazione dell’orientamento espresso dal Giudice amministrativo, secondo cui il Legislatore “ubi voluit, dixit, ubi noluit, tacuit“.

Citando Consiglio di Stato, IV, n. 8919 del 31 dicembre 2019, la Corte dei conti conclude nel senso di riconoscere all’art. 16, comma 1, in parola una applicazione del generale principio per cui “i debiti tributari, o comunque regolati da norme di diritto pubblico” si estinguono mediante pagamento in danaro.

LO SCOMPUTO NON È LA COMPENSAZIONE

Invero, la sentenza citata dalla Corte dei conti (Cons. Stato, IV, 8919/2019) dice anche qualcosa di più interessante:

“…la compensazione è un istituto ontologicamente diverso dall’anelata facoltà di scomputo cui il presente giudizio inerisce. Invero, la compensazione (che, peraltro, nel settore tributario opera solo in base ad espressa previsione normativa – cfr. art. 8, comma 6, l. n. 212 del 2000) valorizza a fini estintivi dell’obbligazione la compresenza, in capo all’Amministrazione ed al contribuente, di individuate ragioni contrapposte di credito/debito, laddove lo scomputo del costo di costruzione derogherebbe, senza alcuna base legislativa, all’ordinaria regula juris di natura pubblicistica per cui il pagamento dei tributi (e, più in generale, delle prestazioni di diritto pubblico) si fa in moneta“.

Con tale affermazione cade, almeno apparentemente, anche l’ultima possibilità di non corrispondere in danaro contante il costo di costruzione: non potendosi fare ricorso nemmeno all’istituto della compensazione, non rimane che pagare quanto richiesto.

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