Quand’è che può affermarsi che la votazione espressa solo tramite punteggio alfanumerico sia idonea a soddisfare l’obbligo motivazionale imposto all’Amministrazione ai sensi dell’art.3 della Legge n.241/1990?
Al riguardo giova rammentare che della vicenda è stata investita anche la Corte Costituzionale.
Il Giudice delle leggi (8.6.2011, n.175; 30.1.2009, n.20) ha affermato che la tesi dell’insussistenza di un obbligo di motivazione dei punteggi attribuiti in sede di correzione costituisce ormai un vero e proprio “diritto vivente” e che, se è vero che la motivazione rende trasparente e controllabile l’esercizio della discrezionalità amministrativa, il criterio del punteggio numerico rivela una valutazione che, attraverso la graduazione del dato numerico, conduce ad un giudizio di sufficienza o di insufficienza e rende palese l’apprezzamento più o meno elevato che la Commissione ha attribuito al candidato, ciò dopo che in passato la Corte aveva ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale per come sollevata argomentando che la questione, più che essere diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, si traduceva in un improprio tentativo di ottenere l’avallo della Corte Costituzionale a favore di una determinata interpretazione della norma, rimessa invece al giudice di merito tanto più in presenza di orientamenti giurisprudenziali non consolidati.
In proposito è possibile distinguere fondamentalmente due indirizzi: secondo il primo, è necessaria un’apposita motivazione per la valutazione negativa delle prove di concorso attesa la ritenuta insufficienza della mera valutazione numerica. Si tratta di orientamento di frequente sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado, spesso propensa a rimarcare quello che è un principio di trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione sancito dall’art.3 della Legge n.241/1990 e ancor prima dall’art.97 Cost., per cui il punteggio numerico, costituendo esternazione del risultato e non già della motivazione del giudizio valutativo, si mostrerebbe inadeguato a porre il candidato in condizione di conoscere i motivi sottesi al giudizio di segno negativo e a persuaderlo di un corretto ed imparziale uso dei poteri discrezionali. In verità tale ragionamento viene argomentato, specie nel caso di lievissimo scarto dal raggiungimento della soglia di sufficienza, anche con la riconosciuta ammissibilità, ad opera del giudice amministrativo, di una valutazione sulle manifestazioni di discrezionalità tecnica, pur con onere per la parte di allegare qualche motivo di sostanziale erroneità della votazione finale, senza trascurare l’eventuale prospettazione di un interesse di natura sostanziale della parte, ovvero quello al riconoscimento dell’erroneità delle valutazioni. D’altra parte, nel momento in cui il Collegio giudicante coglie nei singoli casi in esame il giudizio di valore che a mezzo del “voto numerico” la Commissione aveva inteso esprimere nei confronti della singola prova scritta, il T.A.R. svolge correttamente quel compito di “giudice del fatto” che l’ordinamento gli assegna, cercando di trarre dalla fattispecie concreta sottoposta al suo esame la regola ad essa applicabile, tendenzialmente destinata ad esaurire i propri effetti nel decisum relativo.
Se dunque l’elaborato oggetto di revisione è redatto in modo incontestabilmente corretto e presenta un tessuto argomentativo ampio e documentato, l’eventuale giudizio di disvalore espresso dalla Commissione non può ragionevolmente fondarsi sulla mera indicazione di un voto numerico, che in tale situazione riesce incomprensibile non solo al candidato, ma anche al giudice chiamato a verificare la conformità a legge, a criteri logici, a regole di trasparenza e a principi di giustizia sostanziale del modus procedendi seguito dalla Sottocommissione.
Su altro fronte è, invece, l’orientamento prevalentemente seguito dal Consiglio di Stato, in forza del quale, soprattutto per non compromettere la celerità dell’azione amministrativa in procedure selettive caratterizzate da un elevato numero di candidati, l’onere della motivazione dei giudizi inerenti alle prove scritte e orali è sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio numerico, configurandosi questo come formula sintetica, ma non per questo non eloquente, di esternazione della valutazione tecnica compiuta dalla commissione esaminatrice, peraltro priva di valenza schiettamente provvedi mentale, ciò perché il voto o punteggio esprime e sintetizza il giudizio tecnico-discrezionale, contenendo in sé la sua motivazione, senza bisogno di ulteriori indicazioni, spiegazioni e chiarimenti a mezzo di proposizioni esplicative, salvo il caso in cui – mancando l’unanimità – uno dei commissari solleciti specifiche determinazioni.
Tuttavia anche i giudici di appello non hanno mancato di condividere la tesi secondo cui l’idoneità del punteggio numerico a soddisfare il requisito della motivazione va risolto, non già in astratto, ma in concreto, “avendo riguardo ad una serie di aspetti, tra cui soprattutto la tipologia dei criteri di massima fissati dalla Commissione, risultando sufficiente il punteggio soltanto ove i criteri siano predeterminati rigidamente e insufficiente nel caso in cui si risolvano in espressioni generiche”. Trattasi di un temperamento che non è rimasto isolato, atteso che in altre recenti occasioni si è ribadito che l’onere di motivazione può ritenersi assolto solo allorché, indipendentemente dall’estensione della formula adoperata che può essere anche estremamente sintetica, essa consente, sia pure in via sommaria, di risalire agli aspetti salienti della prova che hanno determinato il giudizio espresso. L’operazione di rendere percepibile l’iter logico seguito nell’attribuzione del punteggio di fatto impone alle Commissioni di predeterminare correttamente, rigidamente e specificamente i dettagliati criteri di valutazione, esternando anche, attraverso apposizione di note a margine, uso di segni grafici, sottolineatura dei brani censurati, gli accertamenti effettuati nel segmento procedimentale di correzione degli elaborati in ordine alla puntuale attinenza ed effettiva rispondenza della valutazione delle prove effettuata ai criteri stessi.
Recentemente la giurisprudenza dei Tribunali Amministrativi ha aderito all’orientamento secondo il quale, specie quando si fa luogo al raffronto tra le posizioni dei diversi candidati, deve essere assicurata, quanto meno in forma sintetica, l’esternazione delle ragioni sottese alle valutazioni della Commissione, rendendo percepibile l’iter logico seguito nell’attribuzione del punteggio, se non attraverso diffuse esternazioni verbali relative al contenuto delle prove, quanto meno mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio, esternando le ragioni dell’apprezzamento sinteticamente espresso con l’indicazione numerica. Ciò appare consono non solo al sacrosanto principio di trasparenza cui l’intera attività amministrativa deve conformarsi, ma allo stesso disposto dell’art. 3, comma 1, della Legge n. 241/1990, secondo cui “ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti…lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato”. Non può essere considerata risolutiva sul punto la pretesa natura non provvedimentale dei giudizi valutativi, atteso che i provvedimenti finali dei procedimenti concorsuali sono motivati con il solo richiamo agli atti del procedimento, sicché escludere l’obbligo di motivazione dei giudizi valutativi equivarrebbe ad espungere la motivazione dall’intero ambito di questi procedimenti, in difformità dalla menzione esplicita dei procedimenti concorsuali che il legislatore ha voluto per evitare incertezze applicative ed interpretative.
Se si intendesse limitarsi alla mera sufficienza del punteggio alfanumerico, non si comprenderebbe appieno neanche la portata dell’art. 12, comma 1, del D.P.R. 9/5/1994, n. 487, come modificato dall’art. 10 del D.P.R. 30/10/1996, n. 693, ove si statuisce che “le commissioni esaminatrici, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove”: orbene, l’obbligo imposto alla Commissione di stabilire i criteri di valutazione delle prove concorsuali, così autolimitando il proprio potere di apprezzamento delle prove concorsuali, non avrebbe ragion d’essere se non fosse parimenti e conseguentemente imposto di motivare, sia pure in modo sintetico, circa le modalità di concreta applicazione dei criteri stessi.
L’obbligo di far luogo alla motivazione delle valutazioni concorsuali è imposto d’altra parte anche dalla necessità di tener fede al principio costituzionale che vuole sempre garantita la possibilità di un sindacato sulla ragionevolezza, sulla coerenza e sulla logicità delle stesse valutazioni concorsuali: controllo difficile da assicurare in presenza del solo punteggio numerico e in assenza, quindi, di una pur sintetica o implicita esternazione delle ragioni che hanno indotto la Commissione alla formulazione di un giudizio di segno negativo. Il candidato deve dunque essere messo in condizione di conoscere gli errori, le inesattezze o le lacune in cui la Commissione ritiene che egli sia incorso, sì da poter valutare la fruibilità di un ricorso giurisdizionale.
Il rispetto dei principi suddetti impone pertanto che al punteggio numerico si accompagnino quanto meno ulteriori elementi sulla scorta dei quali sia consentito ricostruire ab externo la motivazione del giudizio valutativo; se dunque vi è stata in primo luogo una formulazione dettagliata e puntuale dei criteri di valutazione fissati preliminarmente dalla Commissione, la successiva apposizione di note a margine dell’elaborato, o, comunque, l’uso di segni grafici consentono in misura più trasparente di individuare gli aspetti della prova non valutati positivamente dalla Commissione.