Il premio per il ritrovamento del bene archeologico

I parte

Una recente vicenda ha offerto al Consiglio di Stato (sent. N.207/2024) il destro per  un approfondimento dell’istituto del premio dovuto a chi ritrova un bene culturale . L’istituto previsto agli artt. 88 e SS D.lgs. 42/2004 presenta infatti un sicuro interesse.

Le norme  disciplinano il premio dovuto in caso di ritrovamento di bene culturale, prevedendo: (i) che sia corrisposto un premio, non superiore al quarto del valore delle cose trovate: a) al proprietario dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento; b) al concessionario dell’attività di ricerca, di cui all’articolo 89, qualora l’attività medesima non rientri tra i suoi scopi istituzionali o statutari; c) allo scopritore fortuito che ha ottemperato agli obblighi posti a di lui carico; (ii) che il proprietario dell’immobile che abbia ottenuto la concessione di ricerca ovvero sia scopritore della cosa, ha diritto ad un premio non superiore alla metà del valore delle cose ritrovate; (iii) che nessun premio spetta allo scopritore che si sia introdotto e abbia ricercato nel fondo altrui senza il consenso del proprietario o del possessore.

Più nel dettaglio rilevano due tipologie di ritrovamento: quella che consegue ad attività di ricerca archeologica, e quella c.d. fortuita

La scoperta che consegue ad attività di ricerca

Per il Consiglio di Stato “Lo Stato può svolgere questa attività in forma diretta, ovvero per mezzo di concessione ad enti o privati, i quali, dunque, operano come una sorta di «ausiliario» dell’amministrazione: in dottrina è stato osservato che il ritrovamento in tal caso è il risultato di una ricerca preordinata e organizzata, che presuppone il compimento di una serie di atti consapevoli, di un comportamento, o di un’attività teleologicamente orientata (eventualmente anche in forma di impresa), da svolgere secondo regole ben precise stabilite nell’atto di concessione o di autorizzazione, nonché mediante convenzioni stipulate con l’Amministrazione.

La scoperta fortuita

 La scoperta fortuita, viceversa, si caratterizza per il fatto di essere del tutto occasionale, costituendo un fatto giuridico eccezionale in cui non rileva la volontà dello scopritore, ma solo l’incontro con la cosa. La nozione di scoperta fortuita viene quindi ricavata in via residuale, dovendosi considerare tale ogni rinvenimento intervenuto al di fuori di un programma di scavi archeologici: da tale impostazione consegue che la scoperta di cose di interesse artistico-archeologico rimane “fortuita” anche laddove avvenga nell’ambito di un’attività di ricerca o di scavo, purché quest’ultima non sia finalizzata al ritrovamento di beni del genere di quelli concretamente ritrovati (come avverrebbe, ad esempio, qualora durante una campagna di scavi per la ricerca di reperti di epoca romana fossero trovati resti di uomini o di animali di epoca preistorica). Il criterio teleologico, quindi, distingue il negativo il ritrovamento fortuito, il quale, per tale ragione, viene a connotarsi come un ritrovamento che avviene “per caso”, e come tale non era previsto o prevedibile.

 Le norme sopra richiamate prevedono che il premio per il ritrovamento venga corrisposto al proprietario, allo “scopritore” e al concessionario dell’attività di ricerca, se questa non rientri tra i suoi scopi istituzionali. Il premio, dunque, è previsto sia per il caso di ritrovamento “fortuito” che per il caso di ritrovamento nell’ambito di una campagna di scavi.” Ciò posto, nella seconda parte dell’articolo approfondiremo quando il premio spetti anche al proprietario che non sia scopritore, fortuito o meno.

Vuoi saperne di più su beni archeologici e sul premio spettante a chi li ritrova? CONTATTA LO STUDIO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *