Con una recente sentenza le Sezioni Unite della Corte di Cassazione forniscono una soluzione al contrasto esistente in giurisprudenza in merito alla natura della nullità comminata dalle varie normative inerenti alle c.d. dichiarazioni urbanistiche dell’alienante, da inserirsi negli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali immobiliari, ritenendola una mera nullità testuale che prescinde dalla effettiva conformità o difformità urbanistica dell’immobile negoziato.
In altre parole si discute intorno alla sorte degli atti fra privati che contengono violazioni dei precetti posti dalla normativa urbanistica ossia dell’esatta interpretazione da fornire all’art. 136 DPR 380/2001 (TU sull’edilizia).
Due le scuole di pensiero che si contendevano il campo.
Una prima teoria detta formale secondo la quale dette norme mirano a reprimere e a scoraggiare gli abusi edilizi e non hanno alcun riguardo allo stato di buona o mala fede dell’acquirente.
La sanzione, da esse prevista, costituisce un’ipotesi di nullità assoluta, come tale suscettibile di esser fatta valere da chiunque vi abbia interesse, rilevabile d’ufficio dal giudice ex art. 1421 c.c., e riconducibile all’ultimo comma dell’art. 1418 c.c., quale ipotesi di nullità formale e non virtuale.
Le prescritte dichiarazioni costituiscono quindi requisito formale del contratto, sicchè è la loro assenza “che di per sè comporta la nullità dell’atto, a prescindere cioè dalla regolarità dell’immobile che ne costituisce l’oggetto”, in altri termini: “l’irregolarità del bene non rileva di per sè, ma solo in quanto preclude la conferma dell’atto. Simmetricamente, la regolarità del bene sotto il profilo urbanistico non rileva in sè, ma solo in quanto consente la conferma dell’atto”.
Al contrario in presenza delle prescritte dichiarazioni l’atto resterebbe valido anche nel caso di difformità della costruzione rispetto al titolo abilitativo.
A tale opzione ermeneutica si contrapponeva la cd. Teoria sostanziale secondo la quale il contratto avente ad oggetto un bene irregolare dal punto di vista edilizio è affetto da nullità sostanziale.
Ciò è stato ritenuto, anzitutto, sulla base dello scopo perseguito dalla norma, che è stato individuato in quello di rendere incommerciabili gli immobili non in regola dal punto di vista urbanistico.
Chi aderisce a questa tesi ritiene inoltre irrazionale un sistema che sanzioni con la nullità per motivi meramente formali atti di trasferimento di immobili regolari dal punto di vista urbanistico, o in corso di regolarizzazione, e consenta, invece, il valido trasferimento di immobili non regolari, lasciando alle parti interessate la possibilità di assumere l’iniziativa di risolverli sul piano dell’inadempimento contrattuale, o, addirittura, di eludere consensualmente lo scopo perseguito dal legislatore, stipulando il contratto ed immediatamente dopo concludendo una transazione con la quale il compratore rinunziasse al diritto a far valere l’inadempimento della controparte.
La soluzione adottata dalle Sezioni Unite.
La Corte ritiene incoerente la teoria sostanzialista poiché l’incommerciabilità degli immobili non in regola urbanisticamente non può desumersi dal contesto normativo che si limita a porre un medesimo, specifico, precetto: che nell’atto si dia conto della dichiarazione dell’alienante contenente gli elementi identificativi dei menzionati titoli, mentre la sanzione di nullità e l’impossibilità della stipula sono direttamente connesse all’assenza di siffatta dichiarazione (o allegazione, per le ipotesi di cui all’art. 40). Null’altro.
Ne consegue che la nullità comminata dalle disposizioni in esame non può esser sussunta nell’orbita della nullità c.d. virtuale di cui al comma 1 dell’art. 1418 c.c., che presupporrebbe l’esistenza di una norma imperativa ed il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente non utilizzabili, e tale divieto, proprio come registra l’ordinanza di rimessione, non trova riscontro in seno allo jus positum, che, piuttosto, enuncia specifiche ipotesi di nullità (Nullità testuale).
In conclusione il contratto sarà valido, e tanto a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato, e ciò per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità, in quanto non è previsto dalle disposizioni che la comminano, e tenuto conto del condivisibile principio generale secondo cui le norme che, ponendo limiti all’autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti debbono ritenersi di stretta interpretazione, sicché esse non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste.