Un recente arresto del Consiglio di Stato (sent. 10383/2023) torna sottolineare il valore del silenzio assenso in materia edilizia – il caso di specie affrontava il tema dei requisiti necessari per destinare un immobile ad attività agrituristiche – affermando che l’istituto operi anche “ove l’attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione non sia conforme alle norme”.
Il caso
Un privato aveva presentato alla Regione una domanda per il rilascio di un certificato di connessione con l’attività agricola per poter avviare nel suo immobile l’attività agrituristica.
Trascorso il termine per la formazione del silenzio la Regione però, a seguito di un intervento da parte dell’Agenzia delle Entrate che mutava le categorie catastali dell’immobile, rigettava la citata richiesta.
Veniva quindi presentato ricorso al TAR avverso il citato atto di rigetto e il giudice di primo grado si pronuciava in maniera sfavorevole rispetto le richieste del privato.
Si arrivava così innanzi al Consiglio di Stato
La sentenza
I giudici di appello hanno accolto il ricorso e riformato la sentenza di primo grado affermando che “il silenzio assenso è un principio generale posto a presidio della celerità dell’azione ammnistrativa, nonché della semplificazione e della certezza dei rapporti con i cittadini, principio che in ultima analisi risponde a quello di buon andamento previsto dall’art. 97 della Costituzione”, conseguentemente “ anche ove l’attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione non sia conforme alle norme, si rende comunque configurabile la formazione del silenzio assenso. Ciò, si ritiene confermato da puntuali ed univoci indici normativi con il quali il legislatore ha inteso chiaramente sconfessare la tesi secondo cui la possibilità di conseguire il silenzio-assenso sarebbe legata, non solo al decorso del termine, ma anche alla ricorrenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo: in tal senso si fa richiamo tra l’altro per la parte di interesse ai fini della questione in esame alla espressa previsione della annullabilità d’ufficio di cui all’art. 21 nonies l. 241/1990 anche nel caso in cui il “provvedimento si sia formato ai sensi dell’art. 20”, presuppone evidentemente che la violazione di legge non incide sul perfezionamento della fattispecie, bensì rileva (secondo i canoni generali) in termini di illegittimità dell’atto. Nella situazione di attuale interesse al fine di dare un senso alla previsione normativa in forza della quale opera il silenzio – come manifestazione della volontà della Amministrazione – è necessaria una sua applicazione che sia il più possibile scevra da ulteriori filtri applicativi onde evitarne una neutralizzazione nei fatti. Non si tratta quindi di valutare se la domanda, in astratto sia assentibile in quanto in possesso di tutti i requisiti ma piuttosto se la domanda possiede quel minimum di elementi essenziali per il suo esame e non rappresenti erroneamente i fatti.
In tali condizioni è l’amministrazione che deve svolgere il procedimento nei tempi prefissati dalla legge pena la formazione del silenzio. Diversamente opinando, la mancata applicazione della disciplina sul silenzio in considerazione della frapposizione per tale via di un “filtro” – non legislativamente previsto – comporterebbe la neutralizzazione della forza della disposizione sul silenzio, posta a garanzia dei cittadini, ed il conseguente spostamento in sede giurisdizionale della valutazione circa la congruità dell’istanza. Né – in una ottica di bilanciamento degli interessi in gioco – l’amministrazione rimane priva di possibilità di agire stante il potere di annullamento d’ufficio a fronte del formarsi del silenzio a causa dell’inadempimento a provvedere nei termini”.
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