Una recentissima pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ci offre l’opportunità di fare il punto su di una materia alquanto complessa: quella degli oneri concessori.
Come è noto il rilascio del permesso di costruire è subordinato al pagamento di un contributo in danaro, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione.
Gli oneri di urbanizzazione sono dovuti al Comune al fine di contribuire alle spese sostenute dallo stesso per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria nella zona interessata dall’intervento oggetto del permesso di costruire.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, tale contributo è dovuto per il solo rilascio della concessione, senza che neanche rilevi, ad esclusione dell’obbligo, la già intervenuta realizzazione di opere di urbanizzazione.
Ciò significa che il privato che abbia chiesto e ottenuto il rilascio del permesso di costruire sarà tenuto al pagamento dei suddetti oneri anche nel caso in cui non effettui mai la costruzione richiesta.
In tale evenienza (permesso rilasciato – costruzione non effettuata) egli sarà però esentato dal pagamento del costo di costruzione in quanto quest’ultimo rimane indissolubilmente legata all’attività costruttiva eventualmente svolta.
QUANDO SCATTA L’OBBLIGO DI PAGARE?
Secondo la giurisprudenza prevalente fatto costitutivo dell’obbligo giuridico di corrispondere il contributo di costruzione è il rilascio del permesso di costruire ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo.
La Pa può rideterminare l’entità del contributo?
Per rispondere a tale interrogativo il Consiglio di Stato ha effettuato una disamina intorno al rapporto intercorrente fra il Comune e il soggetto privato debitore del contributo di costruzione, riconoscendone senz’altro la natura privatistica.
In estrema sintesi il privato che intende ottenere il permesso di costruire ha avanti a sé la scelta di corrispondere il contributo di costruzione o di rinunciare al rilascio del titolo.
Effettuata questa scelta, che comporta la necessaria corresponsione del corrispettivo di diritto pubblico, il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio disciplinato dalle norme di diritto privato.
Il carattere paritetico del rapporto non esclude la doverosità della rideterminazione quante volte la pubblica amministrazione si accorga che l’iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia dipesa da un’inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice errore di calcolo.
Il Comune è pur sempre, infatti, titolare del potere-dovere di richiedere il contributo di costruzione secondo i parametri e nei limiti fissati dalla legge e dalle disposizioni regolamentari integrative fissate dalle Regioni, facendone una applicazione vincolata che il privato deve conoscere e può verificare. Conseguenza naturale di quanto appena scritto è che la pretesa dell’amministrazione soggiacerà all’ordinario termine prescrizionale decennale. Ciò significa che il Comune può – anzi deve – nel termine decennale decorrente dal rilascio del titolo edilizio, rideterminare il contributo tutte le volte in cui si accorga che l’originaria liquidazione di questo sia dipesa dall’applicazione inesatta dei parametri vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato, o da un semplice errore di calcolo, con l’ovvia preclusione di applicare retroattivamente parametri non vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato. QUALI LE TUTELE PER IL PRIVATO? Innanzi tutto è d’obbligo sottolineare come la qualificazione privatistica del rapporto PA privato faccia si che quest’ultimo possa impugnare innanzi al giudice amministrativo la rideterminazione del canone che ritiene illegittima senza sottostare agli ordinari termini di decadenza, potendo azionare la cd azione di accertamento anche egli nel termine di dieci anni. Tuttavia nell’ipotesi in cui la amministrazione corregga in modo peggiorativo per il privato l’entità degli oneri, quest’ultimo difficilmente potrà invocare la tutela dell’affidamento ed il principio di buona fede per ovviare al pagamento maggiorato. Infatti il Consiglio di Stato argomenta che la complessità delle operazione di calcolo o l’eventuale incertezza di applicazione di eventuali tabelle o coefficienti non possono dirsi estranee alla sfera del debitore che può conoscerle utilizzando l’ordinaria diligenza. L’utilizzo delle tabelle infatti costituisce una operazione contabile che per quanto complessa può essere verificata dal privato nella sua esattezza (anche tramite il progettista che lo assiste nella presentazione della sua istanza). Per questa ragione non è qui applicabile la disciplina dell’errore (art. 1431 codice civile). La tutela dell’affidamento del privato nella legittimità dell’iniziale determinazione del contributo – più favorevole- potrà dunque essere fatta valere solo in casi eccezionali nei quali la conoscibilità e la verificabilità dei parametri utilizzati non sia stata possibile con il normale sforzo diligente che l’ordinamento richiede al debitore. REALIZZAZIONE DI OPERE A SCOMPUTO DEGLI ONERI La legge ad ogni modo consente al privato di eseguire direttamente le opere di urbanizzazione in alternativa al pagamento dei connessi oneri, con possibilità di ottenerne poi lo scomputo da quanto deve pagare a titolo di oneri di urbanizzazione primaria e secondaria. Il titolare del permesso di costruire, tuttavia, non può realizzare le opere di sua iniziativa, ovvero limitarsi ad inviare una richiesta di autorizzazione, mai riscontrata, al Comune, essendo invece necessario che l’Amministrazione disciplini espressamente le modalità di esecuzione delle opere e le necessarie garanzie. In altri termini, tale facoltà concessa al privato ha effetto esclusivamente se la proposta dello stesso sia accettata dal Comune. ESENZIONE DAGLI ONERI CONTRIBUTIVI Il permesso di costruire, come abbiamo visto, è un provvedimento naturalmente oneroso. Alcune disposizioni legislative, tuttavia, prevedono un’esenzione totale o parziale dagli oneri contributivi per specifiche e tassative ipotesi. Tali norme costituiscono eccezioni ad una regola generale e, pertanto, sono da considerarsi di stretta interpretazione, sicché non è consentito ai Comuni di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale
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