Gazebo espositivi posti di fronte al negozio: serve il permesso

Una interessante sentenza del TAR del Lazio (n. 11418/2023) fa il punto su di una vicenda particolare avente ad oggetto le occupazioni di suolo pubblico (OSP) analizzando la possibilità per le attività commerciali di posizionare all’esterno del negozio dei gazebo con funzioni espositive della merce.

La vicenda

Il proprietario di un’attività commerciale aveva istallato all’esterno del proprio negozio gazebi dimostrativi dei prodotti realizzati dalla propria attività commerciale con finalità di vetrina espositiva esterna del negozio. A fronte di tale opera, l’amministrazione capitolina emetteva una D.D. con la quale ordinava la demolizione dei citati interventi, qualificandoli come di ristrutturazione edilizia, e quindi realizzati abusivamente in quanto senza permesso di costruire.

Contro tale atto insorgeva il commerciante attraverso un ricorso al TAR

La sentenza

Il giudice amministrativo respingendo il ricorso ha statuito che:

Nella fattispecie in esame viene in rilievo l’installazione di gazebo che, con finalità espositiva della merce, comporta un’estensione della superficie commerciale, e non risponde in alcun modo a finalità di mero arredo di spazi esterni.”

Tali opere quindi opere sarebbero qualificabili come una vera e propria ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 comma 1, lett. d, D.P.R. n. 380 del 2001, e sono quindi subordinate, ai sensi dell’art. 10 del citato T.U., al regime del permesso di costruire o comunque della scia alternativa al permesso a costruire, la cui mancanza legittima l’adozione dell’ordine di demolizione.

Ciò posto, la sentenza attua interessanti precisazioni sul concetto di precarietà dell’opera – che se ravvisata avrebbe legittimato l’intervento – negandone la sussistenza nel caso di specie e operando un’utile distinzione con la nozione di amovibilità.

 Si legge in sentenza: “A tale ultimo riguardo, deve disattendersi la qualificazione delle opere come provvisorie, stante la loro permanente funzionalizzazione alle esigenze commerciali del negozio, in modo da dotarlo di vetrina esterna allestita con prodotti di vendita, per soddisfare, quindi, esigenze permanenti mediante collocazione di opere che, sebbene non infisse al suolo e quindi dotate del carattere di precarietà strutturale, non sono volte a soddisfare esigenze temporanee.

Ai fini dell’identificazione del regime abilitativo edilizio, per la qualificazione di un’opera come precaria, occorre riferirsi non tanto e non solo alla consistenza strutturale e all’ancoraggio al suolo dei materiali di cui si compone, ma condurre l’esame in termini funzionali, accertando se si tratta di un’opera destinata a soddisfare bisogni duraturi, ancorché realizzata in modo da poter essere agevolmente rimossa. Le caratteristiche costruttive del manufatto, evidenziate da parte ricorrente, sono quindi inidonee a comprovarne il carattere precario, essendo destinato ad uso duraturo nel tempo, avente notevoli dimensioni ed impatto.

La natura precaria di un manufatto deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo o la temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore (quest’ultima peraltro in alcun modo dedotta ed anzi contraddetta dalla presentazione di istanza di sanatoria proprio al fine di rendere legittime e stabili le opere), non dovendo l’opera precaria comportare una trasformazione irreversibile del territorio e l’accertamento della natura precaria dell’intervento deve essere effettuato secondo un criterio obiettivo: perché un’opera possa essere qualificata come precaria, deve trattarsi di un intervento oggettivamente finalizzato ad un uso temporaneo e limitato.

Il concetto di precarietà va distinto, quindi, da quello di amovibilità, non essendo quest’ultimo coessenziale per l’individuazione della natura precaria dell’opera realizzata e ciò coerentemente con l’art. 3, lettera d, punto e.5, che disciplina le strutture leggere, espungendo dalla nozione di ristrutturazione edilizia solo quelle opere che siano destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee.”

Vuoi saperne di più su commercio, edilizia e occupazione di suolo pubblico? Contatta lo studio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *